Le ossa parlano • Antonio Manzini

Titolo: Le ossa parlano • Autore: Antonio Manzini • Editore: Sellerio • Numero pagine: 397 • Data di pubblicazione: 13 gennaio 2022 • Copertina flessibile € 15,00 • Ebook € 9,99

TRAMA

Un medico in pensione scopre nel bosco delle ossa umane. È il cadavere di un bambino. Michela Gambino della scientifica di Aosta, nel privato tanto fantasiosamente paranoica da far sentire Rocco Schiavone spesso e volentieri in un reparto psichiatrico, ma straordinariamente competente, riesce a determinare i principali dettagli: circa dieci anni, morte per strangolamento, probabile violenza. L'esame dei reperti, un'indagine complessa e piena di ostacoli, permette infine di arrivare a un nome e a una data: Mirko, scomparso sei anni prima. La madre, una donna sola, non si era mai rassegnata. L'ultima volta era stato visto seduto su un muretto, vicino alla scuola dopo le lezioni, in attesa apparentemente di qualcuno. Un cold case per il vicequestore Schiavone, che lo prende non come la solita rottura di decimo livello, ma con dolente compassione, e con il disgusto di dover avere a che fare con i codici segreti di un mondo disumano. Un'indagine che lo costringe alla logica, a un procedere sistematico, a decifrare messaggi e indizi provenienti da ambienti sotterra-nei. E a collaborare strettamente con i colleghi e i sottoposti, dei quali conosce sempre più da vicino le vite private: gli amori spericolati di Antonio, il naufragio di Italo, le recenti sistemazioni senti-mentali di Casella e di Deruta, persino l'inattesa sensibilità di D'Intino, le fissazioni in fondo comiche dei due del laboratorio. Lo circondano gli echi del passato di cui il fantasma di Marina, la moglie uccisa, è il palpitante commento. Si accorge sempre più di essere inadeguato ad altri amori. È come se la solitudine stesse diventando l'esigente compagna di cui non si può fare a meno. Questa è l'indagine forse più crudele di Rocco Schiavone.
Quando scopro che sta per arrivare in libreria un nuovo romanzo della serie di Rocco Schiavone inizio a friggere dalla curiosità. 
Questo sentimento, però, nel tempo è cambiato: fino a qualche anno fa era entusiasmo allo stato puro, smania di conoscere i nuovi sviluppi nella vita del vicequestore più amato d'Italia; poi è subentrata la sensazione che non fosse destinata a durare per sempre, come per tutte le cose belle, che ci fosse la necessità di una chiusura definitiva. Questa sensazione si è fatta più forte nei tre romanzi che hanno preceduto "Vecchie conoscenze", nei quali è stata forte la percezione di stanchezza nel portare avanti una storia che aveva già detto tutto ciò che c'era da dire (sensazione mia personalissima, in nessun modo suffragata da dichiarazioni dell'autore).

In "Vecchie conoscenze" invece ho ritrovato la passione e il trasporto provati con "Pulvis et Umbra" (recensione qui), con quel velo di malinconia che aleggiava lungo tutto il romanzo e con quel colpo di scena finale che mi ha letteralmente pugnalato allo stomaco.
Perciò nell'approcciarmi alla lettura di "Le ossa parlano" la voglia di sapere era tanta, ma mi sono posta la domanda "Cosa vorrei trovare alla fine? Un altro colpo di scena che mi faccia aggrovigliare le budella, o una degna conclusione, definitiva, per una serie che tanti bei momenti mi ha regalato?". Credo di poter dire che la bilancia pendesse più verso la seconda ipotesi.

Ora, dopo tutto questo pippone, vi starete chiedendo se questa lettura mi abbia appagata. La risposta è sì, ma...

Andiamo con ordine. 
Ritroviamo Rocco a Roma, alle prese con quello che si può definire l'atto finale della vicenda più drammatica della sua vita, con l'intento di mettere finalmente un punto e andare a capo. Prova ne è anche una determinata azione che compie dopo averla rimandata per anni (non posso dire di più per evitare spoiler a chi non è in pari con la serie).

Una volta rientrato ad Aosta lo attende un cosiddetto "cold case", di quelli tosti: vengono ritrovate le ossa di un bambino morto anni addietro, e per poter dare un nome a quelle ossa e ricostruire i fatti, dovrà rimestare nella peggiore delle fogne, quella che vede coinvolti bambini violati.
Rocco lo fa, come sempre, con la massima professionalità, dando tutto ciò che può: dedizione, intuito, empatia, ma ormai Rocco di dolore, proprio e altrui, ha fatto il pieno.
"Come quando siamo in apnea in fondo al mare, accorgendoci di essere scesi un po' troppo in profondità ci affrettiamo per tornare in superficie, i polmoni esplodono nella cassa toracica il cuore batte nel petto. Poi riusciamo a prendere aria e quello è il momento più bello di una vita, una seconda nascita. Rocco quella boccata di ossigeno non riusciva a prenderla più. Restava in apnea, con le vene dei polsi che scoppiavano e la testa che batteva a tamburo."
L'indagine stavolta, a differenza degli ultimi romanzi, è corposa e ben strutturata (anche se ho intuito che fosse il colpevole fin dalla sua prima apparizione... troppo intuitiva io o troppo chiari gli indizi?), i siparietti con Michela Gambino sono esilaranti, ma... e qui arriva il mio "ma".

Le sottotrame, quelle che riguardano Rocco e la sua sgangherata "famiglia", i suoi colleghi, le ho trovate scarne, poco incisive, un racconto della vita che scorre, quasi che non ci sia più molto da raccontare e, diciamocelo, la serie di Schiavone si legge per questo, per le indagini fatte bene esistono migliaia di gialli altrettanto buoni.

La malinconia di Rocco, quella che mi ha fatto innamorare della serie, non può durare in eterno, i suoi colleghi, nel bene o nel male, hanno trovato la loro strada, si è creato una sorta di equilibrio, alcune situazioni sono rimaste sì in sospeso, ma non sono tali da darmi l'urgenza di sapere come si svilupperanno, e persino nelle, ormai sempre più rare, conversazioni con Marina mi è mancato il pathos, quasi che anche lei si renda conto che la vita va avanti e sia giunto il momento di voltare pagina.
Insomma, un Rocco rassegnato, che non appartiene più a nessun luogo, che si fa scivolare addosso i giorni che passano, godendo del piacere di una buona tazzina di caffè o una telefonata inaspettata, e che in questo limbo potrebbe trovare la sua dimensione.

Leggerò il prossimo romanzo? Sicuramente sì, perché Rocco è ormai uno di famiglia ed è sempre un piacere ritrovarlo, ma non nego che spero di poterlo salutare in maniera degna e conservarne un buon ricordo. Magari il buon Manzini riuscirà ancora una volta ad estrarre il coniglio dal cilindro, ma per quanto mi riguarda preferirei che vestisse altri panni, facendomi nuovamente innamorare di una storia tutta da scoprire.

(Grazie a chi è arrivato fino alla fine di questo lungo e sofferto sproloquio)






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