Pochi sanno infatti che durante la Prima guerra mondiale, bambine, donne, anziane scalavano le montagne per raggiungere i soldati al fronte, pronte a portare loro viveri, medicinali, munizioni e tutto ciò di cui potevano avere bisogno. Il viaggio di ritorno spesso era più triste perché le Portatrici erano costrette a portare barelle con i soldati feriti o, molte volte, da seppellire. La guerra inghiottì la vita di tante donne, totalmente votate al fronte, attente ai richiami di avviso, alle missioni da compiere in segreto. Questo compito spettava soprattutto a quelle bambine, ragazze o anziane che vivevano vicino alle vallate più battute dalla guerra e verso le cime il loro sguardo andava continuamente perché lì combattevano i loro uomini e lì sentivano di dover andare.
Titolo: Fiore di roccia
Autore: Ilaria Tuti
Casa editrice: Longanesi
Anno pubblicazione: 2020
Pagine: 320
Chiudo questo libro con misto di reverenza e commozione, non vorrei lasciarlo andare. Spesso durante la lettura mi si sono inumiditi gli occhi, ma non mi sono mai permessa di piangere per rispetto della forza dimostrata dalle donne raccontate nel libro. Ilaria Tuti ci ha restituito un pezzo della nostra storia, quella storia che è spesso fatta e tramandata dagli uomini e per questo è incompleta, perché porta con sé la quasi totale mancanza di dati di genere. Uomini e donne abbiamo vissuto, dagli albori, ma noi donne andiamo cercate nel silenzio che non è stato documentato. Come scrive la Criado nel suo bel saggio Invisibili "il vuoto di dati di genere è al tempo stesso la causa ed effetto di quella sorta di non pensiero che concepisce l'umanità come quasi soltanto maschile". Ilaria da subito entra nel vivo di questa assenza e lo fa nel modo più naturale e diretto possibile, con la voce di Agata, io narrante e protagonista del romanzo. Siamo alle prime pagine, quando le donne di Timau si riuniscono per decidere se accogliere o meno la richiesta di aiuto pervenuta durante la Messa. Viene loro chiesto di salire dagli alpini in trincea sul Pal Piccolo in Carnia, durante la Prima Guerra Mondiale
Ci siamo riunite con il buio, quando gli animali, i campi e gli anziani costretti a letto non avevano più necessità da soddisfare. Ho pensato che da sempre siamo abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro. Anche adesso, siamo uscite allo scoperto perché servono le nostre gambe, le braccia, i dorsi irrobustiti dal lavoro
La decisione, nonostante la paura, è subito presa e sarà Lucia (personaggio ispirato a Maria Plozner Mentil uccisa da un cecchino nel 1916 - unica donna decorata con Medaglia d'Oro al Valor Militare) a condurre le altre con le sue semplici parole di donna e di madre
Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan - Andiamo, altrimenti quei poveracci muoiono anche di fame
Le portatrici andranno su dagli alpini con la gerla pesante fino all'inverosimile, perchè piena di munizioni, esplosivi e viveri. Al ritorno spesso avranno carichi ancora più grevi: i corpi dei caduti ai quali dare degna sepoltura. Dopo ogni scalata e ogni discesa ad attenderle altro lavoro: la cura dei figli, degli infermi, dei campi, la necessità di mettere in tavola una stentatissima cena.
Questa è una storia che non si racconta, ma che ogni donna conosce. In tempo di pace alla donna viene sempre richiesto di conciliare lavoro e vita familiare e qui, in tempo di guerra, tra l'impossibile e il quotidiano. Questo dualismo non ci sminuisce, ma ci impedisce di dedicarci totalmente ad un solo compito e di fatto ci lascia indietro, dimenticate o trascurate, definite attraverso il bisogno di qualcun altro, proprio come dice Agata.
Il romanzo nelle prime 200 pagine ha un rigore scarno, duro come la vita delle protagoniste, fatta di fatica e di fame, ma anche di dignità e di forza. La scena della prima ascesa e dell'incontro tra Agata e le altre con il Capitano Colman è iconica, meravigliosa. Le portatrici devono scendere a valle prima di sera, altre incombenze le attendono, mentre il capitano vorrebbe controllare tutto il carico che hanno portato, gettando su di loro l'ombra d un sospetto che non possono accettare. Con questo libro le citazioni non si possono omettere, sono da pelle d'oca
Lascio scivolare un po' lo scialle. Poche dita, quanto basta per scoprire il collo arrossato dalla gerla, le macchie di sangue sulla camicia, all'altezza delle spalle. Punto un piede sull'altro e tolgo gli scarpetz. Appoggio i piedi sulla nuda terra, l'aria sulla pelle mi fa capire che è come pensavo: le ore di camminata in salita hanno consumato la lana già lisa delle calze e le mie dita si offrono livide al suo sguardo. Infine prendo mezza patata che ho conservato nel grembiule e la poso sul tavolo, accanto al suo cappello. Resto così per un tempo che ad entrambi sembrerà fin troppo, poi rispondo alla sua unica domanda, quella a cui non gli è interessato avere risposta: "Il mio nome è Agata Primus". Può uno sguardo rompersi? Il suo lo ha appena fatto. Afferro gli scarpetz e me ne vado. Fuori dalla tenda li infilo saltellando e poi, trattenendomi dal correre, raggiungo le mie compagne. Quando mi vedono si alzano e mi circondano. "Cosa ti ha detto?" chiede Lucia. "Che possiamo andare" rispondo.
Agata è un personaggio indimenticabile: me li vedevo i suoi piedi appoggiati sulla terra, i segni dei lividi, il sangue sulle spalle e la sua fierezza, povera di parole, ma densa di significato. Non voglio svelare altro del romanzo, della complicità tra donne, di un pretendente respinto, di un padre che lei accudisce togliendosi letteralmente il pane di bocca. E' un viaggio emozionante che lascio al lettore. La Storia della Prima Guerra Mondiale è scritta e le vicende la richiamano, ma ad un certo punto irrompe il romanzesco, la parte inventata. All'inizio il cambio di registro mi ha destabilizzata, ma poi ho compreso che questa parte è quella che colma l'assenza della quale parlavo all'inizio. Quel di più che il punto di vista femminile avrebbe potuto dare alla Storia e che questa attenta autrice ha donato al libro, in quanto donna e romanziera. Lo affermo non come concessione al punto di vista femminile, ma proprio in virtù di questo. E' ciò che manca a questo mondo per essere completo. Lo rivendico e non posso fare a meno di chiedermi, non per la prima volta, come sarebbe e sarebbe stato se questa ricchezza fluisse libera. Lo proclama Agata quasi alla fine e non so nemmeno quale citazione scegliere, sono tutte significative
Ho scelto di essere libera. Libera da questa guerra, che gli altri hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, ho scelto la speranza
Grazie ad Ilaria Tuti per questo romanzo stupendamente scritto. Grazie per la sua quieta forza che inesorabilmente ti scuote facendo affiorare la speranza, facendo fiorire i fiori sulla roccia.
Ho la fortuna di abitare a poca distanza dai fatti narrati: a breve, zaino in spalla, salirò a Pal Piccolo per onorare queste donne dimenticate e per ricordare a me stessa che il cammino è ancora lungo, ma che passa attraverso il non darsi mai per vinte.
Su carta non mi ispirava per niente, ma ora...
RispondiEliminaMerita!
EliminaLo segno immediatamente! Sai che per me non è un periodo felice, per quanto riguarda le letture, ma leggendo la tua recensione, mi è venuta la pelle d'oca! Un bacio.
RispondiEliminaUna lettura molto coinvolgente.
EliminaUna lettura che mi ha segnato. Libro che consiglio
RispondiEliminal'abbiamo letto a scuola in 5 superiore, ottimo libro lo consiglio
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