TRAMA
È inverno inoltrato e la steppa è avvolta nella morsa dello dzüüd: le temperature si aggirano sui meno trenta, un vento gelido imperversa e il paesaggio è spazzato da tormente di neve. Sembra di respirare vetro. È la leggendaria sciagura bianca, che al suo passaggio lascia dietro di sé una scia di cadaveri. Milioni di vittime, uomini e animali. Da un cumulo di carcasse congelate, incastrata fra un cavallo e una femmina di yak, sbuca la gamba di un uomo. È solo il primo di una serie di strani ritrovamenti. Nel frattempo, in un albergo di Ulan Bator, viene assassinata la prostituta Colette, delitto del quale è accusato proprio il commissario Yeruldelgger. E poi c’è la scomparsa del figlio di Colette, le cui tracce porteranno il commissario fino in Francia, in una fitta trama di giochi di potere dei servizi segreti, loschi affari dei militari e corruzione della politica. Yeruldelgger non ha più niente da perdere ed è pronto a uccidere. Il fuoco va sconfitto col fuoco, proprio come si fa quando scoppiano gli incendi nella steppa: si creano muri incendiari. E intanto, la neve continua a ricoprire la Mongolia…
Secondo capitolo della trilogia di Yeruldelgger, Tempi selvaggi non deluderà le aspettative. Il commissario più amato del momento è tornato.
Titolo: Yeruldelgger: Tempi selvaggi • Autore: Ian Manook • Editore: Fazi • N.pagine: 473 • Copertina flessibile € 17,00 • Ebook € 12,99
Torna il commissario Yeruldelgger, quello che io confidenzialmente chiamo "il mongolo", della squadra omicidi di Ulan Bator. Lo ritroviamo al punto in cui l'avevamo lasciato al termine del primo romanzo, con il cuore inaridito dalle vicende del passato, e con l'unico appoggio morale costituito dalla sua compagna Solongo, medico legale, che con lui condivide anche buona parte delle indagini.
Dopo aver dovuto combattere contro i poteri forti e corrotti che tengono in pugno la sua città, lotta che lo ha molto provato nello spirito, si ritrova ad essere l'indagato principale dell'omicidio di una prostituta che collaborava con lui, cosa che lo fa precipitare ancor più nell'abisso della rabbia incontrollata.
"Non c'era più nulla dell'insegnamento del Settimo Monastero che sembrasse avere ancora presa su di lui. Il peso delle emozioni, la forza del silenzio, il potere della pazienza, non controllava più niente."
Ma questa non è l'unica indagine con la quale il lettore si trova a dover fare i conti: c'è il ritrovamento di un cadavere sotto ad un cumulo di carcasse animali, la scomparsa del figlio della prostituta che sposterà il campo delle indagini in Francia, a Le Havre, città dipinta in modo cupo e tetro, dove la verità che emergerà sarà difficile da digerire anche per gli stomaci allenati degli inquirenti.
Coinvolta in prima persona nelle indagini sul fronte mongolo ritroviamo Oyun, collega e compagna di avventure di Yeruldelgger, che in questo romanzo cresce come personaggio e della quale conosceremo meglio personalità e animo, mentre sul fronte francese faremo la conoscenza di un nuovo personaggio, Zarza, un poliziotto scaltro e acuto, anch'esso con un passato pesante alle spalle.
Le varie indagini apparentemente slegate tra loro, troveranno via via un filo comune che ricondurrà tutta la storia ad un'unica insospettabile origine.
Il fulcro di tutta la narrazione rimane comunque un atto di denuncia verso lo sfruttamento della terra mongola perpetrato per anni dalla Russia e che in qualche modo continua anche dopo che la Mongolia ha ottenuto la sua indipendenza, il modo in cui i poteri forti si servono dei suoi abitanti senza tenere in minima considerazione il fatto che si tratti di esseri umani, e la grande forza interiore che questo popolo trae dal rapporto viscerale con la propria terra, ricca di enormi contraddizioni.
L'unico appunto che posso fare a questo romanzo è il fatto di aver forse messo troppa carne al fuoco, facendo risultare la narrazione in alcune parti un po' caotica. Rimane comunque un gran bel noir, con più parti di azione rispetto al primo, del quale è innegabile l'alto livello qualitativo in termini di scrittura.
L'unico appunto che posso fare a questo romanzo è il fatto di aver forse messo troppa carne al fuoco, facendo risultare la narrazione in alcune parti un po' caotica. Rimane comunque un gran bel noir, con più parti di azione rispetto al primo, del quale è innegabile l'alto livello qualitativo in termini di scrittura.
Ringrazio Fazi per avermi messo a disposizione una copia digitale del romanzo e vi do appuntamento a presto (spero ;) ) con la recensione del terzo e ultimo romanzo di questa trilogia, uscito da poco in libreria: "La morte nomade".
Devo ancora decidere se leggere oppure no il primo.
RispondiEliminaIntanto lo segno.
Buona lettura, Stefania ;)
Grazie Cecilia!
EliminaUn abbraccio
Non conosco il primo della serie anche se mi ispira. Non ho mai letto niente della Mongolia. Lo segno e cercherò anche il primo ^_^
RispondiEliminaSe deciderai di leggerli, parti decisamente dal primo! ;)
EliminaBaci, Stefi